Montecilfone, comunità arbëreshë del Molise, sorge sulla collina che porta lo stesso nome e gode di una posizione geografica privilegiata. Montecilfone, che già in epoca romana doveva ospitare un abitato, è stata rasa al suolo dal violento terremoto del 1456. Nell’anno 1508 l’Università di Guglionesi mandò qui una colonia di Albanesi chiamati nel suo feudo dotale dalla Regina Giovanna. Le popolazioni giunte dall’altra sponda dell’Adriatico si insediarono in queste terre grazie ai rapporti diplomatici dei Principi albanesi, come Skanderbeg, con gli Aragonesi del Regno di Napoli. Munxhufuni, horë arbëreshe e Mulizit, lehet sipër atija mali çë qen stesna embër e ishtë ka një vend i dashur. Munxhufuni, çë ka moti Imperit Roman ishi një horë e banuar, qeti derdhur për dhe nga një taramut i madh ta 1456. Ka viti 1508 Univesitata Ujnizit tërgojti këtu një kolonie Arbëreshe, cë thriti Ujniz, ka feudi ta sajtit, Rëxhina Xhuane. Këto gjindë erdën kana titrit breg të detit Adriatik pse Prinxhëpet të atirve horëve, ashtu si Skanderbeu, kishën çë të ndajtur ma Aragonezët ta Napulit e ma farën të tirve.
IL NOME
Nei documenti più antichi Montecilfone compare con il nome di Mons Gilliani (Gilianus era un nome molto diffuso nel Medioevo). Più tardi il paese venne chiamato Castrum Gylphoni ( 1309) o Mons Gilfonis ( 1325) e, successivamente, Montegilfone. Nel 1328 è attestata anche la forma Mons Celfoni e già nel 1608 si trova Montecilfone.
Ka dokumentët më të vitra Munxhufuni vin thërritur “Mons Gilliani” (Gilianus ishi një emër shumë i uzur ka Mesjetj). Më pas hora u thërrit “Castrus Gylphoni” (1309) o “Mons Gilfonis” (1325) o edhe “Montegilfone”. Ka 1328 gjëndet edhe emëri “Mons Celfoni”e ka 1608 gjemi “Montecilfone.
SVILUPPO URBANO:
Il vecchio nucleo di Montecilfone si accentrava attorno alla chiesa San Giorgio ed era costituito, originariamente, da un corso e tre piazze con vie strette, pavimenti a selci e qualche arco.
L’accesso avveniva attraverso le due porte; quando l’abitato cominciò ad ampliarsi, si iniziò a costruire fuori le mura. La chiesa di San Rocco, nel quartiere dove sorge l’omonima piazza, fu una delle prime costruzioni al di fuori del centro fortificato.
Zëmra a vitra të Munxhufunit ishi torna klishës e Shën Gjiergjit e ishi bënur me një udhë më e zgjertë e tre qacë ma udhës të ngushtë, matunatë dhe ndonjë ark. Mund hihëshi nga dy derë; kur hora ishi e rritëshi u ngren shtëpit jashta muret. Klisha Shën Rokut, ka qaza çë qen stesna emër, qeti një ka të parët të ngritur jashta zëmrës e horës.
EDIFICI SACRI:
La Chiesa di San Giorgio Martire, la cui esistenza è testimoniata già nel 1618, venne intitolata inizialmente a San Pietro Apostolo, poiché gli abitanti osservavano il rito greco, mentre dal 1700, quando fu assunto il rito latino, la Parrocchia fu dedicata a San Giorgio, Patrono del paese. Questa chiesa rappresentò l’unico luogo di culto del paese per tutto il seicento; la sua esistenza è testimoniata già dal 1618.
Klisha e Shën Gjiergjit, çë gjëndet aty çë ka viti 1618, kishi zën emërin e Shën Pjetrit Apostul pse katundarët kishën ritin grek; pas, çë kur u nis riti latin, ka 1700, Klisha morri emërin e Shën Gjergjit, Shejti më i madhë të horës. Kjo klishë qeti vendi i kultit pë’ ghithë ‘600; janë dokumentë ku ishtë shkruor ke gjëndshi aty çë ka 1618.
BOSCO di CORUNDOLI:
All’ingresso del paese troviamo il bosco di Corundoli, antico possedimento dei Cavalieri di Malta, interessante sia per la ricchezza della flora che per la natura carsica del suolo.
Il legname del bosco Corundoli era impiegato soprattutto come combustibile domestico, per la rigidità del clima; il bosco era anche usato come pascolo. Numerosi sono i fatterelli e le storie che la fantasia popolare ha ambientato a "Corundoli" ed in particolare nella grotta denominata “Shpea”.
Sa hihet ka hora gjëndet pylla Kurunus, çë ishi bëgateri të Kavalirvet të Malts, një vend i pasur ma florë dhe shpellë karsikë. Ma drut të pyllës gjindjet zëhiën zjarrmin për ngrohshën, kur bërdhihshi shumë; po ka pylla qejën edhe delet pë’ të hajën barin. Shum përallezë qetën shkrur sypër Kurunus e ndonjë edhe sypër shpellës thërritur “Shpea”.
UN’ANTICA LEGGENDA
Un’antica leggenda sulle origini di Montecilfone racconta di due famiglie che in competizione tra loro sin dalla madre patria, avrebbero continuato i loro dissidi nelle aspre terre molisane. Non riuscendo a trovare un accordo sul luogo dove erigere il paese e quale delle due famiglie dovesse governarlo, si rimisero al responso di San Nicola di Bari. Affidarono l’incarico di intercedere presso il Santo ad un gruppo di pellegrini che, di passaggio lungo il tratturo di Santa Maria di Centurelle, si ricavano al santuario pugliese. Sulla strada del ritorno, gli stanchi devoti riferirono ai gruppi di albanesi il seguente responso. “ Si la terra cacce lu gran, mora Sinese e vingia Farane, si la terre cacce la brese, mora Faran e vingja Sines. Se dopo la semina dalla terra nascerà il grano, morirà Senese e vincerà Farano, se invece nascerà la bresa, morirà Farano, vincerà Senese”.
LE FAMIGLIE PIU’ANTICHE
Senese e Farano sono le prime famiglie storiche di Montecilfone, protagoniste non solo del fantasioso racconto, ma soprattutto citate nei documenti più antichi e dalla persistenza dei loro cognomi fino ai tempi attuali. Tra le famiglie più antiche, storicamente documentate, importante è quella dei Manes. Cognome quest’ultimo, caratteristico non solo degli arbëreshe molisani , è infatti diffuso in quasi tutto il meridione e risalente al tempo delle antiche emigrazioni .” Questi profughi, -scrive il Tajani nelle Istorie Albanesi, pubblicato a Salerno nel 1863- che in tempi diversi e a pochi alla volta in Italia si stabilirono non potrebbero dirsi con certezza a quali razze appartennero. Essendo stati quasi tutti seguaci e commilitoni di Skanderbeg la maggioranza pare fosse appartenuta alle razze degli Shkumbi e dei Mirditi, nella prima delle quali faceva parte la famiglia Castriota. Notevole si è la rassomiglianza di taluni cognomi di famiglie con quelli delle poche individualità menzionate nell’Albania… da Manasse vennero i Manesse nella guerre di Skanderbeg e poi nel Veneto, i Manasse nelle Calabrie, oggi Manes e questo nome Manesse venne imposto anche ad un villaggio del Peloponneso. La Manesia risultava essere una regione dell’Albania da cui sarebbero pervenute queste popolazioni che furono, per questo, denominate Manesi e successivamente Manes.
TOPONOMASTICA DI MONTECILFONE
“Manes” si può dire sia il cognome universalmente diffuso, ancora oggi, nell’intera Arberia.
In modo particolare, nelle comunità molisane, risulta ancora oggi il più rappresentato a Montecilfone, oltre che a Portocannone e a Campomarino. Il cognome principale di Ururi è quello degli Occhionero, mutuato dall’Albanese Siu Zi.
Tra i cognomi in estinzione quello dei Peta , derivante da Nik Peta, soldato di Skanderbeg e la genealogia dei Muriqi, dai quali sarebbe derivata la forma italiana dei Muricchio di Portocannone.
Tra gli altri cognomi patronimici ritrovati nei documenti si ricordano per Montecilfone: Jonata, Flocca, Salvatore, Freca ( Frega), Frate, Cravero, Glave, Barili, Maurea, Masci, Jerbs.
Nei documenti dell’ottocento tra i primi cittadini di Montecilfone vi sono i sindaci D’Inzeo, Antonelli, Gallina, ecc…
DA UN MANOSCRITTO DEL’500
In un atto notarile del 1562 redatto da De Manfrodinis di Lanciano, notaio a Guglionesi, si leggono i seguenti cognomi: “Conte Crialese, camerario degli albanesi abitanti a Guglionesi, Dimitri Floco, sindaco di detti albanesi, Giovanni Ginno Manisi, Giorgio e Antonio Bongriano eletti dai predetti albanesi”. Il documento si riferisce ad un ricorso sul focatico da presentare alla regia Camera della Sommaria. In altri atti compaiono i nomi di Ginno Bugmiro, albanese di Lanciano ( CH), ( doc. n. 14 pag. 13 v. 3 gennaio 1546). Domenico Bongrano del casale di Montecilfone ( doc. n. 30 pag, 40 ,21 marzo 1546 ).
Il documento n. 38 pag. 50 bis datato “1 maggio nel casale di Montecilfone” riporta una stipula di pace in favore di Luca Mammolo. Parte del documento è l’ elenco di persone interessate come parti lese, offese e testimoni, di una serie di azioni reciprocamente perpetrate tra due famiglie del casale: Mammoli e Manes che, dopo molti anni di inimicizia, su richiesta del duca di Termoli, stipulano la pace in presenza del governatore di Guglionesi.
Nicola De Margarita, Serafino De Marucia, Matheo De Savoia, Andrea Peto (magnifico), Giovanni De Alucho, Agostino Cucare, Giovanni Maria Longi di Nicola, don Nicola Gramatico, don Nicola del casale di San Leucio, don Giorgio ePietro Osnatus del casale di Montecilfone. Ed ancora, Janno, Andrea, Dimitri Mammolo, Nicola Brunetto, Stamato Raghi, Martino, Stamato, Costantino, Andrea, Giovanni , Ginno, Totaro Manes, in latino ( Manisus).
DALL’ARCHIVIO DI STATO
Da una rilevazione presso l’Archivio di Stato di Campobasso, sulla discendenza patrilineare di famiglie storiche di nota origine arberёshe dei comuni di Campomarino, Montecilfone, Portocannone ed Ururi, svolta da alcune corsiste nell’ambito del Master For-in- Forma ( Laura De Leo, Filomena Niro e Nella Varanese), con la guida delle docenti Fernanda Pugliese e Vera Gjini, è emersa la seguente persistenza di cognomi.
Campomarino: Candigliota, Chimisso, Glave, Manes.
Montecilfone: Flocco, Ionata, Manes, Peta.( quest’ultimo cognome risulta oggi estinto)
Portocannone: Flocco, Licursi, Manes, Musacchio.
Ururi: Iannacci, Occhionero, Plescia, Musacchio
Il periodo considerato va dal 1809 al 1900 e l’indagine ha riguardato le seguenti famiglie: Castriota, Chimisso, Candigliota, Flocco, Glave, Iannacci, Ionata, Licursi, Manes, Musacchio, Occhionero, Peta, Plescia, Scura.
Di tali cognomi è stata osservata la ricorrenza per tutto il sec. XIX , stabilendo di prendere in esame un decennio ogni cinquant’anni.
LA LINGUA ARBЁRESHE
Gljuha arbёreshe isht si hekur i nzet, t digjёn zёmёrёn ma nёn bёhet hi ( la lingua albanese è come un ferro rovente, ti brucia il cuore ma non diventa cenere).
Si tratta di una delle parlate più antiche del popolo e si è strutturata in una serie di dialetti risalenti all’età medioevale quando nel Paese feudale era dominante, sugli altri, il Principato di Arben.
Tale idioma, che risulta un miscuglio di varianti di matrice prevalentemente tosca con notevoli influenze greche e bizantine, si è strutturata come una vera e propria lingua a sé nelle cosiddette “colonie albanesi” in Italia meridionale, in Grecia, in Dalmazia, costituendo oggi una specie di paleo- albanese che risulta molto importante per lo studio dell’albanese attuale. Ha subito molti mutamenti lessicali e contaminazioni dovuti al contatto con altre lingue come il latino, l’italiano, il greco antico, il neo greco e l’influenza delle lingue romanze.
DAL PRESENTE LE TRACCE DEL PASSATO
Se gli albanesi siano popolazioni di origine illirica, oppure tracia o pelasgica, si stanno valutando numerose tesi di studiosi dei popoli antichi che supportano le loro ipotesi con argomenti disparati. Si discute, altresì, sul fatto se siano gli albanesi autoctoni nelle loro sedi attuali. La maggior parte degli studi propende per questa ipotesi affermando l’origine illirica derivante da tribù indoeuropee che immigrarono nella penisola balcanica dal 1400 al’800 a.c. nel periodo di transizione della civiltà del bronzo e quella del ferro .
Il geografo greco Tolomeo nel 130 d.C. menziona gli albanoi , gente di stirpe illirica che abitava intorno ad Albanopolis , nell’Albania centrale, divise a loro volta in tribù che si diffusero in alcune zone della penisola fino a Corfù e in alcune parti dell’Italia Meridionale sulle coste prospicienti.
LO STEMMA
È uno stemma elegante, dipinto a colori tenui e armoniosi. Rappresenta un animale immaginario, il grifone, dal corpo di leone, con testa ed ali d'aquila.
Il leone rappresenta la forza e l'aquila l'intelligenza, doti di cui gli albanesi si ritengono abbondantemente forniti. Tra le zampe anteriori il grifone stringe la lama di una spada dalla punta rivolta verso l'alto: questo indica che gli albanesi hanno sangue freddo e sono amanti delle armi. Le zampe posteriori del grifone poggiano su due delle tre vette dipinte nello stemma: Montecilfone, Corundoli e Casalvecchio.
Il grifone volge la testa ad oriente, a guardare una stella a sei punte, che simboleggia l'Albania, lasciata con dolore dai nostri avi; questo dolore è indicato dalla freccia che trapassa la gola dell'aquila.
La nobiltà della stirpe albanese è indicata dalla corona che sovrasta la testa dell'uccello.